Che futuro per l’Europa?

Considerazioni post Brexit da parte di un’immigrata
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Venerdi 24 giugno è stata una giornata triste: non solo per tutti i cittadini britannici che speravano in un risultato diverso. Anche io ho provato un enorme dispiacere e amarezza nel vedere come la Gran Bretagna ci ha lasciato.


Non voglio fare politica, 1) perché non è uno degli argomenti principali di questo blog, 2) perché non me ne intendo proprio.
Vorrei soltanto fare un paio di considerazioni sui risultati di questo referendum, dal quale risulta che l’Inghilterra (intesa come UK – non chiamatela England con i britannici) non ci vuole più. Ed io mi sento coinvolta personalmente perché, sia ora in terra minorchina che qualche anno fa, sono e sono stata un’immigrata e le possibilità di spostarmi e lavorare senza problemi mi è stata data grazie alla dibattuta (a quanto pare dal 52% dell’UK) Unione Europea.
Prima del referendum, mi è capitato di parlare con alcuni clienti a favore del Brexit. La loro ragione principale era l’enorme presenza di immigrati, che collassano la sanità. Davvero l’uscita dall’Unione Europea era l’unica soluzione a questo problema?

Non credo l’Inghilterra si sia resa conto di quello che ha fatto, non solo a noi possibili immigranti, ma anche a se stessa.

Spero dunque, innanzitutto, che quel 52% di inglesi sia ora disposto ad andare a lavorare come lavapiatti o cameriere in tutte le caffetterie e ristoranti fast food (Pret A Manger, Costa Coffee, Caffè Nero, Itsu) delle capitali, a guadagnare il minimo stabilito per legge, con orari molto pochi umani, oppure in tutti gli hotel in cui fino ad adesso si sono limitati ad occupare posizioni manageriali. Perché durante il mio anno a Londra non ho conosciuto NESSUN inglese che accettasse volentieri un lavoro nell’hospitality, a meno che si trattasse di direzione, di un tirocinio obbligatorio o di un part-time per pagare gli studi. Gli inglesi hanno altre aspirazioni, soprattutto se vivono a Londra: stipendi alti (altro che 16-18.000£ l’anno), orari d’ufficio dal lunedì al venerdì, week end liberi per ubriacarsi nei pub, vedere le partite o andare al parco con la famiglia, vacanze una volta all’anno possibilmente da trascorrere nella piscina dell’hotel, sotto il sole spagnolo 😉

Ora, se davvero non ci vogliono più, con tutti questi posti di lavoro disponibili e con la necessità di riempirli, gli inglesi si rimboccheranno le maniche? Lo stereotipo di Inghilterra come terra facile in cui immigrare per costruirsi un futuro cade a conseguenza di questo referendum.

Penso poi a tutti gli inglesi che vivono qui a Minorca, pensionati ma anche lavoratori, in particolare i miei colleghi. Il contratto che ci viene offerto dall’azienda inglese è spagnolo  (l’azienda ha una sede di rappresentanza in Spagna) e un passaporto e un NIE sono sufficienti. Con il Brexit cambierà qualcosa? I miei colleghi dovranno chiedere un visto o dovranno tornare a casa loro? Io avrò ancora un lavoro la prossima stagione o vista la caduta della sterlina ci saranno molti meno turisti inglesi e di conseguenza non mi rinnoveranno il contratto? Minorca vive del turismo e la percentuale inglese è davvero grande.

Dicono che il cambiamento non si vedrà almeno per i prossimi 2 anni, e forse ne serviranno ancora di più, ma c’è tanta incertezza per quello che riguarda i visti o permessi di soggiorno e residenza, nonché l’assistenza sanitaria.
Avranno i nostri figli le stesse possibilità lavorative che abbiamo avuto noi?
A me, 2 anni fa, è bastato fare un biglietto aereo per Londra e organizzare qualche colloquio per avere un’offerta di lavoro il giorno dopo: il passaporto è bastato per essere autorizzata a lavorare.
La mia avventura negli Stati Uniti è stata invece molto più sudata e in quell’anno ho sempre vissuto con un minimo di timore di essere rispedita a casa se qualche carta non fosse stata in regola: finito il mio programma internazionale, sono dovuta tornare in Europa, senza scuse.
Mia sorella, in Australia, è andata incontro a mille pratiche (che non sono ancora finite) per poter rimanere dopo il primo Working Holiday. Ha finalmente ottenuto uno sponsor e un visto, ma questo le è costato tanti soldi, preoccupazioni, stress e incertezze.
Magari l’Inghilterra troverà un modo semplice di ottenere visti e permessi, sia per vacanze (tipo l’ESTA americano, che comunque sia è una piccola spesa e una cosa in più a cui pensare, oltre alla copertura sanitaria), sia per lavoro.

Fatto sta che mi sento come se mi avessero tolto un pezzetto di libertà.
Perché non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo noi italiani -e spagnoli- a trovarci nell’Unione Europea.

3 pensieri riguardo “Che futuro per l’Europa?”

  1. Gentile sig. Alice, premesso che ogni generalizzazione e’ di per se’ bugiarda, conosco un poco la materia e provo a dirle la mia. Un cittadino UE che lavora in uno stato membro ha dei doveri, come giusto, ma anche dei diritti: assistenza sanitaria, disoccupazione, ecc.
    Uno straniero nella stessa posizione e’ essenzialmente un expendable: se si ammala o ha finito il contratto si puo’ tranquillamente mandare a casa, e i suoi diritti dipendono, in sintesi, dall’umore con cui si alza un qualche funzionario di polizia. In teoria, puo’ ricorrere a un giudice, ma appunto si tratta di teoria.
    A questo punto qualcuno potrebbe dire: perche’ al cittadino UE dobbiamo dare tutto cio’? quando ha finito di lavorare, mandiamolo a casa, e i soldi ce li teniamo noi spagnoli, o noi maiorchini, o noi di questo municipio, a seconda del livello di chiusura mentale.
    Dietro a Brexit sta, almeno in parte, un discorso di questo tipo, ma almeno in parte e’ avvenuto anche dalle mie parti, nell’operoso Nordest. Gli stagionali, anche italiani, sono stati rimpiazzati da pacchetti chiavi in mano di moldavi, spesso intere famiglie, che lavorano per 23 ore al giorno i tre mesi estivi, guadagnano in tutto un millecinquecento euro, per noi pochi, per loro necessari a passare l’inverno in patria, salutano e ringraziano pure.
    E’ politica che paga? Dipende.
    Peggio tratti il lavoratore, peggio lui lavora, e il cliente lo vede. Personalmente poi non faccio vacanza dalle mie parti, ed evito anche i locali cosi’ organizzati, perche’ sono a disagio, anche se pago, e non si tratta di esercizi a buon mercato, a farmi servire da persone all’evidenza stravolte dalla fatica.
    Va poi da se’ che l’appartenenza alla UE non si riduce alla liberta’ di stabilimento: c’e’ altro da mettere sulla bilancia. Vedremo come si evolvera’ la situazione, anche perche’, visto il pensiero di Scozia e Ulster, il Regno Unito potrebbe anche implodere. Sono pronto a scommettere che, come sta accadendo con la Svizzera, si trovera’ un compromesso nel segno del buon vecchio Principe di Salina. Ci vorrebbe un Mariano Rumor! (se va a leggersi la storia dei moti di Reggio, ma appunto e’ un’ altra storia, capisce perche’. All’ epoca, senza parere, si disinnesco’ una guerra civile).

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    1. Francesco, come da premessa del post, non mi intendo di politica, quindi capisco difficilmente la tua posizione. Sarà che sono sempre emigrata all’estero con un lavoro in mano, consapevole dei doveri che avevo come lavoratrice, che non mi sono soffermata sui diritti e non ho mai chiesto ad esempio la disoccupazione tranne adesso che ho la residenza spagnola (cosa che ho ottenuto dopo una serie di pratiche e lotte burocratiche). Ho sempre guardato alle possibilità del nuovo paese e alle differenze con l’Italia e ho poi tratto le mie conclusioni sul paese ospitante. Non mi sono mai sentita come l’immigrato che si reca in un altro Paese per prendersi tutte le risorse possibili a svantaggio del paese ospitante. Per questo, dico, mi sento come se avessi perso un pezzetto di libertà. Punti di vista.

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      1. Gentile signora, non mi sono spiegato bene, e la colpa, come dice bene Beppe Severgnini, e’ di me che scrivo. Ho soltanto esposto quello che, secondo le notizie che si hanno, e’il punto di vista dei sostenitori della Brexit, senza necessariamente volerlo condividere.
        Per quanto poi riguarda i diritti del cittadino in generale, e dell’immigrato in particolare, la mia posizione e’riassumibile nell’antico brocardo: qui iure suo utitur, neminem laedit. A rileggerla presto, con il consueto interesse.

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